mercoledì 20 settembre 2017

STUDI ARCEVIESI 7






E’ di questi giorni la pubblicazione e la presentazione del numero 7  di “Studi Arceviesi” la rivista già edita dal Centro Studi Arceviesi, e da me diretta,   che raccoglie oramai da molti anni (il primo numero risale al 1994) gli esiti di ricerche e approfondimenti di carattere storico artistico che riguardano il territorio arceviese e le Marche.    
Questo volume esce con sensibile ritardo rispetto al precedente (2009) per le note difficoltà economiche che hanno interessato in questi anni il nostro Paese e  viene  pubblicato senza contributi di sorta.
La usa editazione coincide con un evento per noi particolarmente doloroso: la sopraggiunta morte del caro amico padre Stefano Troiani, vicepresidente del Centro Studi Arceviesi, insieme al maestro Bruno d’Arcevia, e cofondatore con lo scrivente della pubblicazione “Studi arceviesi”. 
A lui vogliamo dedicare questo numero a ricordo indelebile della nostra lunga amicizia.







INDICE DEGLI ARGOMENTI TRATTATI


Angelo Rocca, lettere al Gonfaloniere e ai Priori di Roccacontrada      

La pianta panoramica di Roccacontrada eseguita da Ercole Ramazzani e il disegno  del manoscritto Ridolfi, attribuito a Gherardo Cibo                                                                            

Andrea Vici, un importante documento inedito                                   .

Domenico Valli da Gubbio, maestro di legname, a Roccacontrada, autore del coro per la chiesa di S. Lucia delle monache clarisse e  dell’altare del SS.mo Sacramento nella collegiata di S.Medardo                                                 

Lorenzo Bossi, architetto, scultore e stuccatore genovese: un artista itinerante nell’Italia del XVIII secolo                                                

Luigi Mercantini il cantore di Garibaldi e del Risorgimento italiano. Gli anni arceviesi nelle lettere e nei documenti d’archivio                                  

Il servizio pubblico di messaggeria Senigallia-Arcevia-Sassoferrato:   l’esperimento della “locomobile” a vapore De Dion Bouton del 1903 e l’avvio del servizio regolare, nel 1911, con le vetture a benzina Gaggenau            

Cronaca arceviese degli anni 1903-1904  da  Il Sentino, giornale periodico (ogni venti giorni) stampato a Sassoferrato, dal 1899 al 1904, dalla Tipografia sociale
                                                                                                                
Approvvigionamenti arceviesi per le truppe napoletane del re Gioacchino Murat nel 1814-1815                                                                                      

Documenti arceviesi preunitari (in Bibl. Bologna)                                 

Indice degli articoli e dei nomi dei primi sei volumi di “Studi Arceviesi”, Periodico del Centro Studi Arceviesi                                                     


La decorazione di una pietra, inserita nel basamento della chiesa San Medardo,  riprodotta sulla facciata del battistero  di Saint-Jean  a Poitiers, di epoca merovingia                            

SIMONE CANTARINI (Pesaro 1612- Verona 1648) "Madonna del rosario" opera tra le più belle della sua produzione, conservata in S. Medardo di Arcevia (Ancona)














venerdì 12 maggio 2017

ERCOLE RAMAZZANI ALLA GALLERIA NAZIONALE DELLE MARCHE DI URBINO CON “LA DEPOSIZIONE DALLA CROCE” (1575)



                                                                  "Deposizione" 1575, Urbino,

Questa "DEPOSIZIONE DALLA CROCE" è una delle sue migliori opere
e si caratterizza per un misticismo figurativo dai toni fortemente emotivi, e per un cromatismo vibrante e luminoso, in una visione esasperata delle forme tipicamente manierista.

Ramazzani, ritratto e firma autografa, in "Studi Arceviesi" n. 3

ERCOLE RAMAZZANI (1537 ca.-1598)   “artista di notevole personalità rimasto finora escluso nell’opera di recupero della pittura tardo manieristica degli ultimi decenni (…) un artista anticlassico in cui la spinta accademica  viene “personalizzata” attraverso un processo creativo di notevole interesse (…) un artista sulla cui figura non è stata detta ancora quella parola che ne completi il recupero, sempre più positivo, operato in questi ultimi anni”.
                                      E. Ramazzani, "Natività con Re Magi", Arcevia, 1577

Così si esprimeva Pietro Zampetti, uno dei nostri maggiori storici dell’arte, nel 1989, nel volume 2* della sua “Pittura nelle Marche”.
Nello stesso 1989 veniva organizzato dal comune di Arcevia un primo convegno  di studi sul “Ramazzani e la pittura controriformata nelle Marche” con la partecipazione di diversi studiosi. Ma è nel 2002 che in occasione del 400° anniversario della morte del pittore  il Comune in collaborazione con la Regione Marche, la Sopraintendenza di Urbino, la Provincia di Ancona e la Comunità Montana  promuoveva la prima importante mostra di dipinti dell’artista, con un convegno di studi e la pubblicazione di un catalogo. Questo, intitolato “Ercole Ramazzani de la Rocha”, è stato curato da noti studiosi; e si voleva esaustivo ed aggiornato sulla figura del nostro artista, che  intanto veniva fatto nascere, senza fondamento, a Costa di Arcevia.


Ma nel catalogo è lo stesso Sopraintendente  Paolo Dal Poggetto a  presentare il nostro pittore in modo alquanto riduttivo ed immeritato. “Una mostra (quella di Arcevia) minore sia nel numero delle opere esposte (circa 27) , sia -si direbbe ad una prima occhiata- per la qualità del pittore presentato. Al contrario la visione ravvicinata dei suoi dipinti migliori (...) portano all’indicazione che Ercole Ramazzani – pur con i suoi limiti di discontinuità- non si sottrasse alla volontà di migliorarsi sempre! (!!!) (e per finire) (…). Da Lorenzo Lotto, di cui fu garzone più che allievo nei primi anni cinquanta del XVI secolo”.   


La mostra che pur ha consentito ad un maggior pubblico di meglio conoscere, se non scoprire, il pittore arceviese, è stata però un’occasione PERDUTA dai curatori  per approfondire la personalità del  Ramazzani  e le sue opere in rapporto all’influenza che su di lui ha esercitato, dopo il Lotto, il  grande paesaggista e botanico “arceviese” GHERARDO CIBO, suo mecenate ed amico. PERDUTA per analizzare l’apporto dei COLLABORATORI del Ramazzani nelle sue opere, a volte incostanti nella qualità, nonché la personalità di questi artisti frequentatori della sua bottega, tra cui suo figlio Giampaolo. PERDUTA per meglio conoscere e far apprezzare ancor più il versatile Ercole Ramazzani, prendendo in considerazione la sua attività di PLASTICATORE,  svolta con il cognato Giovanni Battista Bosani  e proseguita dal figlio Giampaolo.

                  E. Ramazzani, Arcevia, affreschi già nella chiesa diS. Bartolo 

E. Ramazzani e bottega, Arcevia, S. Medardo, "Presepe" terracotta colorata

E. Ramazzani e bottega, Avacelli, S. Lorenzo "Madonna del rosario", terracotta colorata


Tutti elementi, questi, completamente SCONOSCIUTI ai curatori e redattori delle schede delle opere inserite nel catalogo.  Sconosciuti come la bella tela rappresentante la  “Deposizione dalla croce” oggi esposta alla Galleria Nazionale di Urbino inventariata dalla Sopraintendenza già nel 1990, replica migliore della analoga “Deposizione “ conservata in Arcevia, in S. Sebastiano, anch’essa del 1575.  O come la pur bella  “Annunciazione” del 1573 che lo scrivente ha scoperto nel deposito della Pinacoteca comunale di Fano e pubblicata sul n. 3 di “Studi Arceviesi” del 2005 (pp. 56,57 ).

                     E. Ramazzani, Arcevia, S. Sebastiano "Deposizione dalla croce"

Ercole Ramazzani è dunque un pittore ancora  alquanto trascurato che suscita scarso interesse da parte degli storici dell’arte.


I recenti studi pubblicati, ed in corso, sulla figura di GHERARDO CIBO,  tra i maggiori paesaggisti del Cinquecento, autore tra l’altro di un importante trattato sulla miniatura ed altri scritti sui colori, oltre che buon botanico, fanno però emergere uno stretto rapporto sia di amicizia che di collaborazione con il Ramazzani. Rapporto rimasto saldo per tutta la vita, caratterizzato inizialmente da una totale subordinazione dell’allievo al principe mecenate ed artista, maestro nella tecnica della miniatura e dell’acquarello. Successivamente  tra i due subentrò almeno in campo artistico una forma di collaborazione paritaria per divenire, con il passare del tempo, anche di prevalenza da parte di Ercole per la sua riconosciuta affermazione, non solo in ambito locale, come pittore, disegnatore, frescante e plastico. Con Ercole è inoltre documentata una collaborazione nella stesura di almeno due testimoni della manualistica tecnica, recentemente attribuita al Cibo, ma non è da escludere una partecipazione del Ramazzani all’intera opera cibiana.

Gherardo Cibo, mulino per scotano presso Sasso Cupo (Arcevia) conservato a Fossombrone

E. Ramazzani, Fabriano, "Madonna con B. e Santi"1566

particolare del precedente

E. Ramazzani "Deposizione", 1569

E. Ramazzani, Polverigi, "Deposizione" 1583

E. Ramazzani, Matelica, 1578



Ben osservando i dipinti di Ercole non possiamo non notare che laddove rappresenta il paesaggio, nei suoi multiformi aspetti, più forte  si precepisce la benefica influenza che il Cibo ha esercitato su dilui. E si può cogliere in un  vedutismo frammisto di realtà e fantasia, nel modo di dipingere gli alberi e le loro fronde, le montagne,  i dirupi rocciosi, nel dettaglio botanico  con specie diversificate di piante e fiori, negli scorci paesaggistici in cui si intravvedono fiumi, laghi o marine, ed ancora nelle rovine coperte o percorse da vegetazione. 

Ercole Ramazzani è un pittore che merita ancora tutta la nostra attenzione.

venerdì 7 aprile 2017

DUE IMPORTANTI PITTORI MARCHIGIANI attivi, e comprimari, nei maggiori cantieri romani di Sisto V e nelle Marche: CESARE E VINCENZO CONTI DI ARCEVIA

      
Arcevia, panorama

Di questi due fratelli pittori, marchigiani,  ad oggi , oltre le brevi notizie biografiche  riportate dal Baglione nelle sue “Vite dei Pittori ed Architetti” (1642) ed alcuni scritti specialistici in cui venivano richiamati dipinti a loro riferibili, mancavano studi organici  e monografici.   Ciò è per lo più addebitabile allo scarso interesse mostrato sino ai giorni nostri dagli storici dell’arte per la pittura di epoca sistina, a lungo considerata “qualitativamente inferiore” e solo di recente rivalutata a seguito di importanti ricerche svolte in questo contesto storico artistico  da emeriti studiosi, tra i quali va segnalato il prof. Alessandro Zuccari. Questi con diversi saggi specialistici, pubblicati nel giro di pochi anni, ha avuto anche il merito di restituire ai due fratelli Conti alcuni rilevanti affreschi presenti nei cantieri sistini del Palazzo Lateranense, della Biblioteca Vaticana e della  Scala Santa, oltre che nella Galleria di palazzo Giustiniani, di palazzo Altemps di Roma e di palazzo Bosdari di Ancona..

Cesare e Vincenzo Conti, Roma , Palazzo Lateranense , Costantino offre i doni alla Chiesa


                  Cesare e Vincenzo Conti, Roma, Scala Santa, Cristo si consegna ai soldati


Nelle Marche, terra di origine dei due pittori, dopo la pubblicazione  nel 2005 del mio “Arcevia. Nuovo itinerario nella Storia e nell’Arte” (pp. 134, 301), in cui rendevo noto l’inedito importante dipinto  raffigurante  una “Sacra Famiglia e Santi”, conservato in questa località e firmato da Cesare Conti, riconoscendogli anche la sua origine arceviese suffragata da documenti, non ci fu alcuna eco a questa notizia né a livello locale né in ambito regionale tantomeno da parte di studiosi o storici dell’arte. 

Cesare Conti, Arcevia, Sacra Famiglia con S. Giovannino ed i SS. Francesco e Bonaventura


Nel 2009 Massimo Papetti  pubblicò su “Studia Picena” “Due proposte per Cesare e Vincenzo Conti nella prepositura di San Niccolò ad Acquaviva Picena: nuove acquisizioni sulla committenza marchigiana di ambito sistino”.  Un importante saggio in cui il Papetti oltre a proporre nuove e opportune attribuzioni, riconoscendo la rilevanza del dipinto arceviese per i necessari riferimenti stilistici distintivi dei due fratelli, redigeva anche una coerente e aggiornata loro biografia.

Dovranno però trascorrere ancora diversi anni, di forzato silenzio, prima che i due fratelli Conti siano oggetto di interesse e di studio, ma questa volta  da parte di una prestigiosa università italiana. E’ infatti  di pochi giorni fa la discussione presso l’Università “La Sapienza” di Roma, cattedra di Storia dell’arte moderna, di una importante tesi su “Cesare e Vincenzo Conti. Le carriere di due fratelli pittori, tra Marche, Roma e il Piemonte”, ad opera di Eugenia Quaglia, marchigiana di origine. Relatore il prof. Alessandro Zuccari e correlatore il prof. M. Moretti.  Uno studio questo a carattere monografico, di alto profilo storico artistico, attento, equilibrato e ben ponderato, che con puntuale analisi critica, confronti e richiami iconografici e documentazione archivistica,fa emergere con più chiarezza la personalità dei due fratelli pittori. Attraverso poi un accurato  esame critico analitico delle opere, certe ed attribuite, dei Conti la Quaglia ci introduce nel loro mondo, cogliendo i caratteri peculiari della loro pittura e distintivi di ciascuno. Cesare è il più trascurato dei due, per un giudizio riduttivo del Baglione che lo vuole semplice collaboratore del fratello ed “esperto di grottesche, arme ed ornamenti”. Ma dopo la scoperta della sorprendente pala d’altare della “Sacra Famiglia ” di Arcevia, in cui il pittore dimostra una grande sensibilità compositiva e di dettaglio e una spiccata abilità tecnica, a lui viene finalmente riconosciuta una propria indipendente, e di rilievo, personalità artistica.  La pala di Arcevia, unica opera firmata da Cesare Conti, scoperta dallo scrivente, ha costretto infatti, oggi,  gli studiosi  a rimettere in discussione tutta la produzione dei fratelli Conti. Per quanto riguarda Vincenzo, che separatosi da Cesare fu pittore di corte dei Savoia a Torino, dove morì,  la tesi della Quaglia ha fatto emergere alcune importanti novità sulla sua produzione artistica; prima fra tutte, l’ipotesi che lo vede essere, oltre che pittore di figura, anche un abile paesaggista.


Oltre la PALA DI ARCEVIA di Cesare ed un suo intervento negli affreschi del CONVENTO AGOSTINIANO DI S. MARIA, nelle Marche sono conservate dei fratelli Conti altre importanti opere che meritano di essere visitate, come i palazzi o le chiese a cui appartengono.

         Cesare Conti, Arcevia, convento di S. Maria, affreschi con grottesche e santi


A Macerata è il SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLE VERGINI, purtroppo tra gli edifici inagibili e a rischio di crollo per il recente terremoto, che costituisce oggi, per ricchezza artistica, l’esempio più alto e rappresentativo nelle Marche di quello che si può definire lo “stile sistino”. Qui sono custodite importanti opere tra cui una suggestiva “Adorazione dei Magi” del Tintoretto e gli affreschi, le grottesche e la bella tela dell’ “Ultima cena” dei fratelli Conti, nella cappella dei Bifolchi, e quindi nella cappella Panici. Questo di Macerata è stato il primo loro incarico in terra marchigiana (1592).

                                              Macerata, S. Maria delle Vergini


                              Cesare e Vincenzo Conti, S. Maria delle Vergini, Ultima cena


Ad Acquaviva Picena  è la  PREPOSITURA DI SAN NICOLO’, edificata nella prima metà del 1500, dove sono visibili due belle pale d’altare attribuite ai Conti da Papetti e rappresentano  una, “l’Invenzione della Croce” e l’altra, “il Compianto sul Cristo morto”. Sono collocate  nel primo altare a destra e nel fondo del transetto a  sinistra.

                                                    Acquaviva Picena, S. Nicolò

                                  Cesare e Vincenzo Conti, S. Nicolò, L'invenzione della croce


                             Cesare e Vincenz Conti, S. Nicolò, Compianto su Cristo morto

Ad Ancona è il PALAZZO BOSDARI, oggi Pinacoteca comunale, dove nel piano nobile il fregio a fresco riccamente decorato con delicati paesaggi, grottesche, putti e figure allegoriche è concordemente assegnato dagli studiosi ai fratelli Conti. Il palazzo di origine medievale, fu acquistato nel 1550 dai nobili Bosdari, di origine dalmata e ristrutturato, forse da Pellegrino Tibaldi, intorno al 1560.


                                                   Ancona, Palazzo Bosdari


                            Cesare e Vincenzo Conti, Palazzo Bosdari, fregio (part.)


Cesare e Vincenzo Conti di Arcevia: due artisti per troppo tempo obliati ingiustamente che meritano per il loro recuperato ed acclarato valore artistico di essere finalmente segnalati all’attenzione degli studiosi e degli amanti dell’arte.

domenica 12 febbraio 2017

IL PALAZZO GIA’ MANNELLI POI PIANETTI, IN ARCEVIA, NELLE MARCHE: DI ANTICA NOBILTA, DI STORIA ED ARTE PROFUSO





Arcevia nelle Marche

                                

Il palazzo Mannelli Pianetti


            Questo imponente ed elegante palazzo, sito sul corso di Arcevia, fu fatto ristrutturare, accorpando fabbricati più antichi,  da  FLAMINIO MANNELLI senior nell’anno 1600.  I palazzi accorpati erano quelli appartenuti a CAMILLO, a GIROLAMO vescovo di Nocera  ed ai Martorelli. Alla morte di Flaminio senior nel 1606 la nuova costruzione mancava di rifiniture ed ornamento interno.  Furono fatti eseguire dai suoi fratelli Ginevra , abate CLAUDIO  e cav. GIROLAMO junior

            L’abitazione già del vescovo Girolamo conserva, al primo piano, un bel camino cinquecentesco con il  suo nome  inciso, le architravi delle mostre delle porte in pietra, con iscrizioni originali, ed un lavabo antico. Ancora individuabile un altro edificio, quello che fu di Felice Martorelli o Martirelli che nel 1535 sposò Giovanni Battista  padre di Flaminio senior. 


mostra di porta dei Martorelli con iscrizione 

stucchi nel palazzo già Martorelli


Nel  piano nobile del palazzo Mannelli sono da ammirare i raffinati  stucchi ornamentali a motivi geometrici e floreali con mascheroni  e volti femminei nonché nel salone  il bel camino monumentale, in granito rosso, opera dello scultore  ticinese FRANCESCO SILVA (1560 †1641).  


stucchi con mascherone nel piano nobile


camino monumentale  (F. Silva)


La rappresentazione a stucco che sormonta il camino è una celebrazione della casata dei Mannelli il cui stemma viene incoronato da un putto in una enfasi di svolazzanti panneggi, figure simboliche (quelle della Prudenza e della Gloria) ed i frutti dell’abbondanza. Al centro una iscrizione, voluta da cav. Girolamo,  inneggia alla sapienza dell’umile.


stucchi del Silva nella cappella dell'abate 


A Francesco Silva spettano anche gli stucchi dorati della cappella personale dell’abate Mannelli il quale affidò al celebre pittore  Pomarancio (Cristoforo Roncalli  1553†1626),  nel 1609, l’esecuzione del quadro dell’altare della cappella rappresentante la”Sacra Famiglia con S. Giovannino”, ora nella Pinacoteca di Jesi. A questo pittore ed aiuti spetterebbero anche i dipinti già nella detta cappella, che facevano un tutt’uno con gli stucchi del Silva, nonché  le decorazioni parietali a fresco  con putti, personaggi ed ornati vari, ancora visibili nel piano nobile del palazzo.

Il cav. Pomarancio già impegnato in quegli anni a dipingere nel cantiere lauretano, dal gennaio 1611 si avvarrà della collaborazione del Silva come plasticatore per  nuove opere nella  basilica di Loreto. La decorazione della cappella dell’abate Mannelli attesterebbe un’anticipazione al 1609 del sodalizio tra il Pomarancio e il Silva.


Pomarancio, "Sacra Famiglia con S. Giovannino"

ornati nel piano nobile


Nel salone sono ancora conservate tre grandi tele , recentemente restaurate, rappresentanti  un S. Giovanni Battista pastore, una Susanna ed i vecchioni ed una scena non meglio identificata. Vanno molto probabilmente assegnate a  FLAMINIO MANNELLI j. (1618 †1694), pittore ed architetto.


S. Giovanni Battista, pastore attr,  a Flaminio Mannelli

Il palazzo a seguito del matrimonio di Susanna ultima discendente dei Mannelli di Piazza, nel 1702, con il marchese Cardolo Maria Pianetti di Jesi, passò a questa nobile famiglia.


Nel 1778  il marchese Angelo Pianetti affidò al pittore arceviese Gaspare Ottaviani il restauro  della decorazione interna del piano nobile  e successivamente dei dipinti della cappella. In questa occasione furono anche rinnovati i tendaggi di broccato  e i damaschi pregiati alle pareti, rimossi solo recentemente perché ritenuti dagli esperti non restaurabili.


 i tendaggi settecenteschi prima della recente rimozione

porta dipinta dall'Ottaviani

un affresco dell'Ottaviani


I Mannelli di Piazza ricoprirono importanti incarichi religiosi, civili e militari distinguendosi per il coraggio ed il valore in diverse imprese belliche.

Ricordiamo  mons. Girolamo vescovo di Nocera, che fu vice legato del cardinale di Urbino, Giuliano Della Rovere e nunzio apostolico in Francia; Flaminio senior gentiluomo di camera dei re di Francia Carlo IX ed Enrico III; Claudio abate di S. Ginesio, fu a Roma vicario generale del cardinale Rusticucci; Camillo j. comandante di milizie nella guerra di Fiandra; cav. Girolamo j. governatore delle armi per la Repubblica di Venezia e luogotenente generale del duca di Savoia; suo figlio Giambattista fu insignito del titolo di conte di Cozzolo e Rivò dal duca di Savoia; FLAMINIO j., pittore ed architetto, costruì e  decorò, con l’Evangelisti, il teatro di Arcevia (1668).   (Maggiori notizie si possono avere consultando: Lelio Tasti, “Sito ed origine di Rocca Contrada”, (2009), a cura di P. Santini; “Arcevia. Nuovo itinerario nella Storia e nell’Arte”, (2005) di P. Santini; “Studi Arceviesi” nn. 1, 2, 3, 5, 6).

Il palazzo Mannelli di Arcevia rimase in proprietà dei Pianetti fino agli anni Cinquanta del 1900 quando fu venduto a diversi proprietari. L’appartamento al piano nobile di rilevante valore storico artistico, già sede del Circolo di lettura, è stato recentemente acquisito dalla Regione Marche e restaurato. Si auspica una sua fruizione di pubblica utilità, nonché il ricollocamento nella sua sede originaria, sopra il portone di accesso, dello stemma nobiliare in pietra.



giovedì 9 febbraio 2017

ISABELLA “la velata”




Tra i tanti capolavori di artisti famosi  che si possono ammirare al museo del Prado di Madrid mi ha particolarmente colpito un’opera diciamo “minore”. Si tratta di  una scultura di un artista italiano  poco conosciuto, Camillo Torreggiani (Ferrara 1820-1896), che in questa opera , considerata il suo capolavoro, ha saputo  dare sfoggio di uno straordinario e squisito virtuosismo. E’ il ritratto di Isabella II di Borbone, unica regina di Spagna (dal 1833 al 1868), nota anche come  “ quella dal triste destino”.
L’opera  si rifà alla tradizione delle spettacolari  sculture velate settecentesche italiane come il “Cristo velato” di Giuseppe Sanmartino del 1753 o la “velata” di Antonio Corradi conservate nella cappella Sansevero dell’omonimo palazzo di Napoli. 


Giuseppe Sanmartino, il "Cristo velato"

Antonio Corradi, la "velata"

Il Torreggiani dimostra grande maestria in tale tecnica  realizzando un velo marmoreo finissimo che fa intravedere i lineamenti del viso ed una collana.  Un’opera ricca di fascino e di mistero  che consente però ad un attento osservatore di penetrare oltre la innaturale trasparenza marmorea e percepire in quel volto note di malinconica e trepida attesa.


Sul basamento  sono visibili lo stemma della Spagna e motivi vegetali ed allegorici.  La scultura  fu eseguita nel 1855.

Camillo Torreggiani (1820-1896) di umili origini, nacque  a Ferrara, ma a  20  anni in cerca di lavoro si trasferì prima  a Bologna  partecipando alla ristrutturazione del palazzo del Podestà, quindi a Livorno operando nella chiesa di S. Maria del Soccorso e successivamente a Firenze dove si trattenne 11 anni collaborando con lo scultore Luigi Pampaloni. Ritornato a Ferrara vi aprì uno studio. Numerose sono le opere che lasciò nella sua città, ma ebbe commissioni anche all’estero.  A Madrid per il ritratto della regina Isabella  ricevette, come onorificenza,  la croce di Carlo III.  Per la Repubblica di S. Marino, eseguì il ritratto di Gioacchino Rossini