Pietranico e
Bossi sono entrambi, oggi (come ieri), due nomi semisconosciuti: l’uno è un
paesino di circa 500 abitanti posto a 600 metri in provincia di Pescara e
l’altro uno scultore stuccatore settecentesco di origine genovese.
Nel 1932
quando la chiesa parrocchiale del paese venne smantellata per ricostruirne una
più grande, intitolata a San Michele e Santa Giusta, fu rinvenuto nell’altare
maggiore un biglietto scritto dal suo autore, il menzionato Bossi, nel quale
questi segnalava l’esistenza di un tesoro nascosto nelle vicinanze della chiesa.
l'altare maggiore in una foto del 1925
Questo
evento dette una certa notorietà a Pietranico verso la metà degli anni Trenta
del XX secolo, scomodando il noto giornalista scrittore Orio Vergani che si recò
in questa località e pubblicò sul Corriere
della sera del 2 dicembre 1932 un articolo dal titolo “Mattinata alla cerca
del tesoro”. Ne riportiamo alcuni
stralci significativi.
“(…) Pescara, San Giovanni
Teatino, Chieti, Bivio di Manoppello, San Valentino, Caramanico, Piano d'Orta,
Torre de' Passeri, questo è l'itinerario per andare a cercare il tesoro di
Pietranico (…)
E' un milanese, uno dei tanti
milanesi d'adozione, - ce n'erano anche allora, -che dopo due secoli, ha fatto
parlare del tesoro di Pietranico. Venne quassù, nel 1722, Lorenzo Bossi a costruire il nuovo altare della chiesetta
parrocchiale di Pietranico, tirata su con le pietre di un vecchio castello
diroccato. Fece tutto il suo lavoro secondo le regole d'arte del tempo, con le
sue cornici a stucco, le colonne policrome a tortiglione, l'architrave barocco.
Certo passò quassù qualche mese, tra questa gente semplice, cordiale e ospitale
di contadini e pastori. Respirò l'aria fine d’Abruzzo, guardò il profilo
azzurro della Majella, mangiò la «scamorza» o il capretto arrosolato sugli
spiedi rusticani. Poi se ne andò, verso altre chiese, verso altri altari. Il
suo nome era stato dimenticato, dimenticatissimo. Duecentodieci anni erano
passati. Anche a Pietranico si ha bisogno di qualche novità e si scoprì, un
giorno, che la vecchia chiesa doveva essere rifatta. Occorreva darle una
facciata, con una porta che si aprisse sulla piazzetta e non sull'antico vicolo
abbandonato, dove adesso si ammucchiano le fascine e razzolano i polli. Vennero
i muratori, incominciarono a lavorare. Portati via le immagini sacre, il
confessionale, una statua di terracotta, i pochi arredi, i gonfaloni, il
cataletto, su cui in due secoli, son passati tutti i morti del paese, si è dato
mano ad abbattere l'altare maggiore, perché lì si dovrà aprire la porta della
nuova facciata.
Levata la pietra sacra, da una
connessura è venuto fuori un pezzo di carta, ingiallatissimo, scritto da una
vecchissima calligrafia ancora leggibile. Scriveva, nel 1722, Lorenzo Bossi:
questo altare fu fatto
da me Lorenzo Bossi, genovese, abitante in Stato di Milano, l'anno 1722. E
acciò sia di quachiuno la fortuna vi dico che dietro questa chiesa vi è una
pietra grossa sotto la quale vi è un ripostino di che sarà di chi caverà tutta
detta. pietra, la quale sta poco sotto terra, cavate che ne troverete il fondo
e detta sol pietra vi basterà per fabbricarvi una casa se avrete denari. Chi ti
legge scaverà denaro, non mi dite male.
(…) Feudatari non ce ne sono
stati, da queste parti. «Siamo sempre stati pastori e contadini» rispondono gli
abitanti. Di monaci danarosi non si è mai sentito parlare. Di briganti nemmeno.
Eppure del tesoro si è sempre parlato. Si indica, anzi, il posto preciso. In
una delle pietre del campanile, un rozzo intaglio disegna qualcosa che
assomiglia a un pettine. “Lì, sta - dice il valletto comunale - Lì, sotto
lo segno dello spicciatore .Spicciatore, a Pietranico, è il nome del
pettine. Il segno è chiaro. Tutta Pietranico, da secoli, sa cosa sta ad
indicare. Anche Lorenzo Bossi, stuccatore, doveva averne sentito parlare. Ma,
coi secoli, i cittadini hanno perduto la fede nel loro tesoro. Son filosofi. “Un
tempo - dice uno anche mille lire erano un tesoro. Oggi ce ne verrebbe una lira
a testa, perché il segreto è di nessuno, o meglio, è di tutto il paese. Vale la
pena di buttar giù il campanile?”
(…)- “Quanto durerebbero i
soldi, caro signore? Siamo in troppi, perché il tesoro, se c'è, possa
arricchirci. Invece un campanile nuovo, un pò più alto, con una campana nuova
si farebbe vedere e sentire per tutta la valle della Pescara, fino a Torre dei
Passeri, a Caramanico Si vive fuori del
mondo. Qualcuno si ricorderebbe di noi... Una voce di campana parlerebbe alla
vallata d'Abruzzo dal paesello romito”.
Al breve tinnio dell'oro,
preferirebbero lo squillo lungo del bronzo. Cara gente, si può dar loro torto?
Si parte per cercare un tesoro, e si trova l'amore e l'orgoglio per il paese
nativo.
Dolce amore di campanile, così
bello quando è bello, abbiamo trovato soltanto lui, sotto il segno dello spacciatore”.
Orio Vergani.
Il tesoro di Pietranico non si è mai trovato! E forse
il biglietto scritto da Lorenzo Bossi, che evidentemente conosceva questa
credenza popolare locale, va inteso come
una burla per i paesani che un giorno
avessero deciso di disfare il suo
altare!
Nello stesso 1722,
molto probabilmente, Lorenzo Bossi partì da Pietranico e di lui non si
hanno ad oggi più notizie fino agli anni 1744-45 quando lo ritroviamo attivo a
Roccacontrada (Arcevia) nelle Marche, quale sopraintendente ai lavori di
ristrutturazione e di riduzione in stile barocchetto della romanica chiesa di
S. Francesco dei minori conventuali. Anche questa chiesa, come altri
fabbricati, aveva subito gravi danni a seguito del forte terremoto dell’aprile del 1741 che colpì
questa località. Lorenzo Bossi eseguì nella chiesa anche le otto statue di personaggi storici poste in apposite nicchie con
iscrizione esplicativa, gli altari laterali e le relative decorazioni, nonché le
piccole scenette di contenuto biblico rappresentate sulla cantoria. Nell’abside è sua la grande
rappresentazione di S. Gregorio in estasi dinanzi a Cristo crocifisso (legno
h.160 cm.), opera di particolare effetto scenografico.
Il Bossi esprime al meglio,
in S. Francesco, le sue qualità artistiche di valido plasticatore e decoratore,
facendosi anche apprezzare come ideatore
del progetto di ristrutturazione della vecchia chiesa, realizzando un impianto
barocco armonico ed essenziale.
Committente dei lavori fu il
padre guardiano Serafino Pagni, letterato e cultore di storia locale, che fu
trasferito nella seconda metà del 1747 a Roma, nel convento dei Dodici
Apostoli, di cui fu anche presidente e dove morì nel 1767. Si può ritenere che
la decorazione interna della chiesa
fosse compiuta entro il 1746, anno in cui si stava anche mettendo in opera il
pavimento.
Lorenzo Bossi fu artista assai apprezzato in
Roccacontrada per il suo intervento in S. Francesco e qui ebbe ancora diverse
ed importanti commissioni.
Nella chiesa di S. Maria, degli agostiniani, anch’essa
colpita dal sisma, portò a termine nel 1745 l’altare di S. Anna per volere di
Filippo Filippini, un notabile rocchense. ‘E però da ritenere che il Bossi
abbia qui eseguito anche altri altari per uniformità di tecnica e stile con sue
opere consimili.
S. Maria
In occasione
poi del rifacimento del teatro comunale Misa, negli anni 1752- 1755, secondo
quanto ci fa sapere Giovanni Crocioni, Lorenzo Bossi decorò la limitrofa nuova
sala priorale “con le immagini rilevate
delle principali virtù” e specialmente
con alcune figure “in biasimo dell’ozio
ed in esaltazione delle virtù”. Opere queste andate perdute nell’ottocentesco
rifacimento del teatro.
A questo artista vanno infine assegnate, per stile e
tecnica, alcune statue ancora oggi esistenti nel palazzo, ristrutturato nel
XVIII sec., già della famiglia Franceschini, in Arcevia.
Il Bossi si trattenne in Roccacontrada oggi Arcevia
diversi anni e lasciò qui diverse sue opere. Di lui però non si hanno altre
notizie.
Forse anche negli altari arceviesi ci ha lasciato,
come in Pietranico un biglietto a memoria del suo passaggio e della sua
esistenza come artista. Un biglietto che però non ha più bisogno di riportare
la mappa di un tesoro nascosto per suscitare interesse e notorietà. In questo
caso infatti il tesoro è rappresentato dalle opere che ci ha lasciato e che
dobbiamo conservare a testimonianza di un artista che nel suo peregrinare ha mantenuto
fermo il suo credo di vivere d’arte e per l’arte.
Paolo Santini
Bibliografia rif. Arcevia, opere di P.
Santini: Arcevia. Nuovo itinerario nella
Storia e nell’Arte (2005) pp. 153, 193, 280, 281, 289, 291, 293; Studi Arceviesi, 2, p. 72; Studi Arceviesi, 6,
p. 113
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