venerdì 25 novembre 2022

I DELLA ROBBIA NELLE MARCHE (IL LIBRO, per capitoli) Seconda parte

con l'intervento di Giorgia Latini, Assessore alla Cultura dellla Regione Marche.
VI. LE TERRECOTTE DIPINTE DI PRODUZIONE LOCALE ISPIRATE AGLI INVETRIATI ROBBIANI
EPIGONI ROBBIANI NELL’AREA ESINO MISENA
(…)Nell’anconetano, e in particolare nell’area esino misena, dove si riscontra una consistente presenza di robbiane sia giunte da Firenze che prodotte in loco dai frati Della Robbia, è conservato un interessante nucleo di terrecotte dipinte ascrivibile, per i caratteri stilistici e tecnici che le accomuna, a una stessa bottega locale. Un insieme alquanto omogeneo di manufatti, espressione di una cultura locale “ricettiva degli stimoli prodotti dalla presenza dei fratelli Della Robbia”. (…)
PIETRO PAOLO AGABITI E LA SUA PRESUNTA ATTIVITÀ DI SCULTORE
(…) Non esistono, allo stato, documenti che provino l’attività scultorea dell’Agabiti, né tantomeno che attestino essere stato il padre del pittore, Agabito, proprietario della Vasaria di Sassoferrato, una fabbrica di ceramiche, dove l’artista avrebbe inizialmente esercitato questa arte. (…)
ERCOLE RAMAZZANI PITTORE E PLASTICATORE SECONDO I DOCUMENTI ARCEVIESI
L’attività, come plasticatore, del pittore Ercole Ramazzani (1537ca.- 1598) di Roccacontrada (Arcevia), è documentata sin dal 1563, anno in cui risulta impegnato nel rifacimento del crocifisso “grande” e in altri lavori di terracotta, nella chiesa di S. Gianne. (…) Dei lavori di ampliamento dell’oratorio di S. Gianne negli anni 1563-64 si conserva però un piccolo crocifisso in terracotta dipinta, recentemente scoperto, racchiuso entro una struttura cinquecentesca con timpano e colonne, in una edicola ricavata nella parete esterna della chiesa di S. Medardo. Qui, prima che il tutto venisse incorporato nella nuova collegiata, era posto l’accesso all’oratorio. Questo piccolo crocifisso, emblema della omonima Fraternita, e che doveva essere a somiglianza di quello “grande”, fu dipinto “a freddo” nel 1564 da Ercole, come da documenti(…)
LE TERRECOTTE DIPINTE DI SASSOFERRATO (…)
Le terrecotte dipinte “a freddo” conservate nelle chiese di S. Francesco (l’Immacolata Concezione) e S. Pietro (il Battesimo di Gesù) di Sassoferrato(...)
LA BOTTEGA DI ERCOLE RAMAZZANI: ULTERIORI CONSIDERAZIONI ATTRIBUTIVE. LO SPADINO DA FALEGNAME
Le opere in terracotta che abbiamo attribuito al Ramazzani, in particolare quelle più complesse come le Madonne della misericordia e del rosario, rivelano la partecipazione nell’esecuzione di più artisti,sia nell’imponente impianto architettonico che nella realizzazione dei delicati motivi ornamentali e nelle stesse formelle dei misteri. Alla mano di Ercole ricondurrei le figure principali e i devoti,che rivelano precisi rimandi a personaggi raffigurati in suoi dipinti(...)Un ulteriore elemento probante, per assegnare al Ramazzani e bottega le opere in terracotta già attribuite all’Agabiti, riguarda il famoso “spadino” rappresentato nella figura del San Giuseppe dei presepi. È un oggetto a forma di coltello. Lo ri troviamo nel lato sinistro del Santo, con la stessa forma, allacciato a una cintura forata, nei presepi di Arcevia, di Jesi e di Cupramontana(...)
VII. LE TERRECOTTE DIPINTE RICONDUCIBILI A ERCOLE RAMAZZANI E BOTTEGA(…)
NOTE AI CAPITOLI
IL LIBRO DEI CONTI DELLA ROMITA DI S. GIROLAMO DI ROCCACONTRADA (Arcevia) rappresenta una preziosa fonte documentaria sulla operosa quotidianità di una comunità eremitica, attiva nel contesto socio economico di un comune di medie dimensioni e potenza dell’entroterra marchigiano: a far tempo dal suo insediamento, con l’edificazione della chiesa e monastero nei primi anni del cinquecento, sino al suo abbandono nel 1575. (in versione integrale)
BIBLIOGRAFIA(…)
APPENDICE FOTOGRAFICA (A COLORI): OPERE ROBBIANE NELLE MARCHE; LE TERRECOTTE ATTRIBUITE A ERCOLE RAMAZZANI E BOTTEGA; ANALOGIE TIPOLOGICHE TRA PERSONAGGI DIPINTI DA ERCOLE RAMAZZANI E RAPPRESENTATI NELLE TERRECOTTE A LUI ATTRIBUITE

I DELLA ROBBIA NELLE MARCHE (IL LIBRO, per capitoli) Prima parte

PREMESSA
I manufatti in terracotta invetriata e dipinta ebbero vasta diffusione, riscuotendo largo consenso, sia in Italia che in gran parte dell’Europa, a far tempo dalla seconda metà del XV secolo. Ciò avvenne soprattutto per l’apprezzata e prolifica attività imprenditoriale della famiglia dei Della Robbia, che nella loro bottega di via Guelfa a Firenze seppe trasformare questa antica attività artigianale in una raffinata ed originale produzione artistica, che si protrasse sino al terzo decennio del XVI secolo.(…)
INTRODUZIONE di Lucia Tongiorgi Tomasi
(...) Si devono agli studi di Allan Marquand che risalgono al secondo decennio del secolo scorso e a quelli più recenti di Giancarlo Gentilini e di Liletta Fornasari (...) una disamina precisa della personalità del capostipite e di quelle dei suoi numerosi discendenti che fecero capo all’ attiva e longeva bottega. A questi studi si riconnette oggi meritoriamente Paolo Santini, attento conoscitore della realtà storica marchigiana, per focalizzare la diffusione e l’evoluzione delle “robbiane” e della scultura fittile di derivazione nella regione ed in particolare nell’area Esino Misena, non tralasciando peraltro la menzione delle opere disperse, trafugate o vendute. (...)
I. I DELLA ROBBIA: una famiglia di artisti, maestri insuperati della terracotta invetriata
La scultura in terracotta, assai apprezzata nell’antichità, fu quasi dimenticata nel Medio Evo. Ebbe una sua rinascita agli inizi del Quattrocento, in concomitanza con la più vasta riscoperta del mondo antico, soprattutto per opera di grandi artisti come Donatello, Ghiberti, Brunelleschi e Luca Della Robbia. L’utilizzo, in età rinascimentale, della terracotta invetriata nelle opere d’arte a rilievo fu un’innovazione di rilevante portata che va ascritta proprio a Luca Della Robbia, uno dei protagonisti della scultura fiorentina del Quattrocento.
LUCA DI SIMONE (…), ANDREA (…), GIOVANNI (…), FRA MATTIA (…), FRA AMBROGIO (…), LUCA IL GIOVANE (…), GIROLAMO (…)
II. LE OPERE ROBBIANE INVIATE DA FIRENZE NELLE MARCHE (…)
III. LE ROBBIANE PRODOTTE “IN LOCO” DA FRA MATTIA E FRA AMBROGIO
IL CARDINALE ARMELLINI, LEGATO DELLA MARCA, A ROCCACONTRADA
La venuta del cardinale Francesco Armellini Medici nelle Marche, a seguito della sua nomina, nel 1518, a Legato apostolico, fu l’occasione per fra Mattia e fra Ambrogio Della Robbia di conoscere e apprezzare la vita tranquilla e appartata, lontana dai clamori cittadini, di una regione laboriosa e ospitale. (…)
L’EREMO DI S. GIROLAMO DEL SASSO ROSSO DI ROCCACONTRADA
Il romitaggio di S. Girolamo del Sasso Rosso di Roccacontrada venne eretto nel 1509 da due frati eremiti senesi, Girolamo di Bernardino Pecci e Gio Francesco di Mariano dei Formosi. Il sito dove sorse si trova sul versante del monte Croce Guardia opposto ad Arcevia: un luogo ancora oggi di difficile accesso, alquanto selvaggio e aspro, circondato da falda sassosa. (…)
L'importanza dell'eremo di S. Girolamo del Sasso Rosso di Roccacontrada, oggi Arcevia, è legata soprattutto alle opere provenienti dalla bottega di via Guelfa di Firenze, destinate alla sua chiesa, e a quelle qui eseguite da fra Mattia.(...)
FRA MATTIA A ROCCACONTRADA: “DON MATHIA SENESE”
La presenza di fra Mattia in Arcevia era stata già sostenuta dall’Anselmi, che la datava però attorno al 1534 e riteneva che le opere a lui attribuite fossero state eseguite nella “fabbrica di terrecotte” tenuta dagli eremiti di S. Girolamo.Nel Libro dei conti di S. Girolamo, alla carta 26r è registrata, all’anno 1520, una elemosina di 4 fiorini fatta al romitaggio da un “don Mathia senese” (…) Oltre l’altare ricordato, eseguito in loco per la romita di S. Girolamo, di cui restano solo alcuni lacerti, a fra Mattia spettano, in S. Medardo, un suggestivo crocifisso e almeno una delle due statue robbiane conservate nel locale Deposito d’arte, e, in S. Maria, la bella pala d’altare dell’Annunciazione. Opere queste che, con lo stupendo dossale di Giovanni Della Robbia, rappresentano per Arcevia e per le Marche un tesoro inestimabile, unico nel suo genere.(...)
LE STATUE DI S. MARIA MADDALENA E DI S. CATERINA D’ALESSANDRIA. LA GHIRLANDA ROBBIANA (…)
IL DOSSALE DELL’ANNUNCIAZIONE E GLI ALAVOLINI DI ROCCACONTRADA (…)
IL CROCIFISSO ROBBIANO E LA COMMITTENZA DOMENICANA (…)
ULTIME VICENDE DI FRA MATTIA E FRA AMBROGIO NELLE MARCHE (…)
IV. LA ROMITA DI S. GIROLAMO NEI DISEGNI DI GHERARDO CIBO (…)
V. OPERE ROBBIANE PRESENTI NELLLE MARCHE (…)
ALTRE OPERE ROBBIANE PERDUTE O RUBATE (…)
OPERE GIA’ RITENUTE ROBBIANE(…)
OPERE DI SANTI E BENEDETTO BUGLIONI, EMULI ROBBIANI, NELLE MARCHE(…)
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mercoledì 17 agosto 2022

Commemorazione per i 400 anni dalla morte del pittore sistino CESARE CONTI di Roccacontrada nella Marca d’Ancona, oggi ARCEVIA (R.C. 1557/58 – R.C. 4 agosto 1622)

UN ARTISTA RISCOPERTO
Artista attivo a Roma e documentato dal 1584, viene ricordato con il fratello Vincenzo, dal Baglione, nel gruppo dei pittori al servizio di Sisto V. I fratelli Conti, caduti per lungo tempo in oblio sono stati recentemente riscoperti e rivalutati dalla critica, come del resto tutta la pittura sistina. A loro è stata riconosciuta, in particolare da Alessandro Zuccari, la partecipazione, da comprimari, nei cantieri sistini di Palazzo Lateranense, della Biblioteca Vaticana, della Scala Santa, ed ancora, tra l’altro, nella Galleria di Palazzo Vento Giustiniani, nel fregio del Palazzo del Conservatore in S. Spirito in Sassia, in Palazzo Altemps, nel Palazzo Colonna. Il loro ritorno nelle Marche per impegni di lavoro, nel 1592, li vede attivi a Macerata, in S. Maria delle Vergini, a Sanseverino, nel santuario della Madonna dei Lumi, ad Acquaviva Picena, S. Nicolò, in Ancona nel Palazzo Bosdari. Sul finire del 1500 i due fratelli però si separano: Vincenzo tornò a Roma dove è documentato abitarvi dal 1598 e dal 1607, luglio risulta presente a Torino alla corte sabauda. Cesare rimase nelle Marche, dove si era nel frattempo sposato. Per quanto riguarda Cesare, in particolare, l’individuazione di alcune sue opere in Arcevia, nonché ricerche archivistiche e riscontri documentari, hanno consentito a Paolo Santini di ritenere che questo pittore, ma anche il suo più giovane fratello Vincenzo, siano originari di Rocca Contrada, in particolare della villa di S. Lorenzo presso Magnadorsa, oggi non più esistente. Al 1595 risalgono i primi documenti che lo attestano in Rocca Contrada. Nel 1596 Cesare è per lavori a Sanseverino e Macerata. Nel 1597 è registrato tra i visitatori della Compagnia dei Riformati di R.C. Nel novembre del 1598 nacque in Arcevia, Girolamo. Costui con molta probabilità è quel Girolamo Conti, nipote del letterato, segretario e cifrista di Urbano VIII, mons. Santi Conti, ricordato dall’Abbondanzieri come pittore molto versato per cui meritò la croce ed il titolo di cavaliere . Al 1598 risale il viaggio di Clemente VIII a Ferrara, accompagnato dal sacrista Angelo Rocca, per la devoluzione della città e del ducato allo Stato della Chiesa. Come ex voto di ringraziamento il cardinale Pietro Aldobrandini nipote del Papa e segretario di Stato fa dipingere il quadro con la Madonna di Loreto oggi nella Pinacoteca di Senigallia. Dipinto dopo dicembre 1598, va ascritto a Cesare Conti Agli inizi dell’anno 1600 Cesare eseguì in Arcevia, dove risiedeva, la bella tela della Sacra Famiglia con S. Giovannino, S. Francesco e S. Bonaventura per la chiesa di S. Giovanni Battista fuori le mura, su commissione dell’agostiniano Angelo Rocca, suo protettore già a Roma. Sempre in Arcevia eseguì diverse altre sue opere ed entro il 1607 realizzò qui la grande e bella pala con Gesù, Madonna e Santi per una chiesa marchigiana, oggi conservata a Morbio (Canton Ticino). Nel 1615 Cesare fu chiamato come perito di parte dal Pomarancio, per valutare con Baldassarre Croce i lavori eseguiti da quel pittore nella basilica di Loreto. Nel 1621 in giugno, a Macerata realizzò pitture sulla porta del Palazzo del cardinale Legato. Il 29 luglio 1622 fece testamento in Arcevia dove morì il 4 agosto. Venne seppellito nella chiesa di S. Maria. I fratelli Conti portarono nei territori periferici della Marca fino alla corte di Savoia l’innovativo linguaggio artistico acquisito nei cantieri romani, che li videro attivi e qualificati interpreti dello spirito della Controriforma. Le loro opere, in particolare quelle autografe di Cesare, di raffinata bellezza, vibranti di un cromatismo luminoso e squillante, mostrano una elevata qualità pittorica, con personaggi caratterizzati da una loro identità significante e peculiare, assai riconoscibile come propria cifra stilistica. La rettifica della data che documenta la presenza di Cesare a Roma, il 1584 anziché il 1564, ci consente infine di ritenere che il loro apprendistato di pittori possano averlo fatto in patria, in Arcevia, dove era attiva dal 1560 in poi, la fiorente bottega di Ercole Ramazzani. Ed inoltre di aver recepito la benefica influenza di Gherardo Cibo, presente in Arcevia dal 1540, valente e raffinato pittore di paesaggi, squisito disegnatore oltre che botanico, amico e protettore del Ramazzani. I fratelli Conti, paesaggisti, in particolare Vincenzo, credo siano tributari del Cibo più che dei fratelli Brill.

“I Della Robbia nelle Marche. Epigoni robbiani nell’area Esino Misena: Ercole Ramazzani e bottega” . Presentazione del volume.

La mostra a carattere regionale “Itinerari robbiani” tenutasi nel 2014, ha proposto un suggestivo ed interessante itinerario turistico culturale nelle località marchigiane che gelosamente ancora conservano opere robbiane. Tra queste Arcevia che primeggia per numero e qualità, possedendone alcune inviate da Firenze ed altre eseguite in “loco” da fra Mattia Della Robbia. Intento degli organizzatori era tra l’altro di rendere tale esposizione permanente predisponendo allo scopo una pubblicazione che oltre a prendere in esame le opere esistenti nelle Marche menzionasse anche quelle perdute, rubate o vendute, nonché attribuite erroneamente. Con la pubblicazione del mio volume “I Della Robbia nelle Marche”, finanziato dalla Regione Marche e con il contributo del comune di Arcevia, si viene a colmare questo vuoto documentario, ricostruendo gli avvenimenti che hanno consentito ai due frati Della Robbia, figli di Andrea, il loro trasferimento nella regione dove hanno diffuso gli ultimi bagliori della prestigiosa arte degli invetriati robbiani. Il libro presenta un apparato consistente di foto in b/n e a colori, con un capitolo introduttivo su questa importante famiglia di scultori plasticatori fiorentini. Viene inoltre “riscoperta” l’importante Romita di S. Girolamo, oggi scomparsa, punto di riferimento per la committenza delle robbiane a Firenze nonché per l’attività arceviese di fra Mattia, presentando un nucleo di disegni del romitaggio, ed altri attinenti, eseguiti da Gherardo Cibo, il grande artista e botanico arceviese, come testimonianza della sua frequentazione del sito, dei frati e della stessa chiesa. In Appendice anche “Il libro dei conti di S. Girolamo”, iniziato nel 1509.. Vengono infine prese in esame le terrecotte di ispirazione robbiana ma di produzione locale, in particolare un gruppo alquanto omogeneo esistente nell’area esino misena già attribuite dallo scrivente a Ercole Ramazzani ed alla sua bottega per concordanze stilistiche, temporali e storiche , ora riproposte supportate da nuovi elementi documentari e confronti fotografici.
I DELLA ROBBIA: una famiglia di artisti, maestri insuperati della terracotta invetriata La scultura in terracotta assai apprezzata nell’antichità, fu quasi dimenticata nel Medio Evo. Ebbe una sua rinascita agli inizi del Quattrocento, in concomitanza con la più vasta riscoperta del mondo antico, soprattutto per opera di grandi artisti come Donatello, Ghiberti, Brunelleschi e Luca Della Robbia. L’utilizzo, in età rinascimentale, della terracotta invetriata nelle opere d’arte a rilievo fu un’innovazione di rilevante portata che va ascritta proprio a Luca Della Robbia, uno dei protagonisti della scultura fiorentina del Quattrocento. Di tale “invenzione” ce ne dà conto già il Vasari nelle sue “Vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti” scritte nella seconda metà del Cinquecento, affermando che Luca trovò il modo di “difendere le opere in terracotta dalle ingiurie del tempo”. E ottenne ciò dando loro “una coperta d’invetriato addosso, fatto con stagno, terra ghetta, antimonio ed altri minerali e misture cotte al fuoco d’una fornace apposta”. Le opere di terra divenivano così “quasi eterne”. “Del qual modo di fare , come quello che ne fu inventore, riportò lode grandissima, e glie ne avranno obbligo tutti i secoli che verranno” Le elevate qualità artistiche della produzione robbiana, ed una richiesta sempre più pressante di opere, consentirono a Luca di impiantare, nella casa bottega di via Guelfa a Firenze acquistata con il fratello Marco, una fiorente attività economica che ebbe enorme fortuna e fu proseguita dal nipote Andrea e dai suoi figli, fra Mattia, Giovanni, fra Ambrogio, Luca il giovane e Girolamo, sino al terzo decennio del XVI secolo. Una produzione artistica, raffinata ed originale, che ebbe un successo straordinario anche al di fuori dei confini nazionali, favorito dalla possibilità di lavorare le terrecotte a pezzi di varia misura facilitandone il trasporto e quindi la loro ricomposizione da parte di maestranze locali.
I DELLA ROBBIA NELLE MARCHE La diffusione delle robbiane nelle Marche, regione seconda solo alla Toscana per numero di manufatti invetriati e dipinti, prese avvio verso la metà del XV secolo con l’invio ad Urbino da parte di Luca Della Robbia della lunetta con la Madonna, Bambino e Santi per il portale della chiesa di S. Domenico. Negli ultimi venti anni del Quattrocento altre opere vennero ad arricchire il Montefeltro ed il pesarese. Dal secondo decennio del Cinquecento si registra poi una nutrita presenza di robbiane nell’Anconetano, in particolare in Arcevia, che oggi può vantare di possedere, nella regione, il nucleo più consistente. Queste arceviesi risultano eseguite, alcune nella bottega di via Guelfa, diretta da Giovanni Della Robbia, altre “in loco” da fra Mattia della Robbia, qui attivo negli anni 1520-1524, e la cui presenza è documentata nella Romita di S. Girolamo. Nel Maceratese, infine, dove dalla metà all’incirca del terzo decennio del XVI secolo si trasferirono i due figli domenicani di Andrea Della Robbia, Francesco (frate Ambrogio) e Marco (frate Mattia), impiantandovi una fiorente bottega, si conclude la fortunata parabola dell’arte robbiana con la scomparsa dei due artisti, tra il 1528 e il 1532.
EPIGONI ROBBIANI NELL’AREA ESINO MISENA: ERCOLE RAMAZZANI E BOTTEGA La diffusione ed il successo riscontrato dalle opere robbiane in ambito marchigiano, hanno certamente favorito la produzione locale di invetriati ed in particolare di terrecotte policrome dipinte a freddo: un mezzo espressivo più povero ed economico rispetto all’invetriato, ma capace di suscitare nei fedeli, per una resa più naturalistica dei personaggi, un maggior coinvolgimento emotivo e devozionale. Nell’anconetano,ed in particolare nell’area esino misena, è conservato un interessante nucleo di terrecotte dipinte ascrivibile, per i caratteri stilistici e tecnici che le accomuna, ad una stessa bottega locale, “ricettiva degli stimoli prodotti dalla presenza dei fratelli Della Robbia”. Un primo gruppo di pale d’altare rappresenta, in modo originale e non più ripetuto, la ricomposizione di due iconografie ricorrenti nelle Marche del XVI secolo: quelle della Madonna della misericordia e della Madonna del rosario . Figurazioni che sottintendono situazioni di disagio spirituale e culturale legate all’inquietudine tipica del tempo. Ne fanno parte i dossali di Avacelli di Arcevia, di Murazzano e delle chiese di S. Francesco e S. Pietro di Sassoferrato, ed ancora di Serrasanquirico e di Genga. Nel complesso menzionato di terrecotte vanno ricompresi i Presepi a figure mobili in terracotta dipinta, conservati nella Pinacoteca comunale di Jesi, in S. Medardo di Arcevia e nel convento di S. Pacifico in Sanseverino Marche, il crocifisso in S. Lorenzo di Avacelli di Arcevia ed altro piccolo murato in una nicchia esterna alla chiesa di S. Medardo. Tutte queste opere vennero inizialmente assegnate al pittore sassoferratese Pietro Paolo Agabiti. Non esistono, allo stato, documenti che provino l’attività scultorea dell’Agabiti, né tantomeno che attestino essere stato il padre del pittore, Agabito, proprietario della Vasaria di Sassoferrato, una fabbrica di ceramiche, dove l’artista avrebbe inizialmente esercitato questa arte. L’Agabiti rivolge i suoi interessi figurativi verso il Veneto e la Romagna, mentre lo scultore dei dossali in terracotta guarda ai Della Robbia , ispirato in particolare alle loro opere arceviesi. Questo complesso di terrecotte si ritiene invece eseguito dal pittore Ercole Ramazzani (1537ca.- 1598) di Roccacontrada (Arcevia),ed alla sua bottega, la cui attività anche di plasticatore è documentata sin dal 1563, anno in cui risulta impegnato nel rifacimento del crocifisso “grande” ed in altri lavori di terracotta nella chiesa di S. Gianne di Rocccacontrada. A lui va riconosciuta la paternità di questi lavori per le affinità stilistiche, tecniche e fisionomiche con le sue opere pittoriche.
IL LIBRO SI COMPONE DI 200 PAGINE CON 90 FOTO IN B/N, E 50 A COLORI PREZZO DI COPERTINA: 23 €. SI PUO’ ACQUISTARE IN ARCEVIA (edicola) E IN TUTTE LE LIBRERIE, ANCHE SU AMAZON. EXORMA ED.

sabato 12 febbraio 2022

1989 luglio 22: “Ercole Ramazzani da Roccacontrada (Arcevia) e la pittura controriformata nelle Marche”

1° Congresso Nazionale con interventi di: Marisa Abbondanzieri, sindaco, Ennio d’Incecco, assessore alla cultura, Armando Ginesi, Daniela Matteucci, Paolo Santini e Bruno d’Arcevia. Biblioteca comunale, ex chiesa di S. Giovanni Battista. Ore 21, Palazzo dei Priori: Inaugurazione della prima mostra personale in Arcevia del pittore Bruno d’Arcevia. In apertura del convegno, dopo i saluti di rito del sindaco Abbondanzieri, dell’assessore alla cultura d’Incecco e l’intervento del prof. Ginesi che lo presiede, il m° Bruno d’Arcevia legge uno scritto inviato dal prof. Claudio Strinati, assente per impegni di lavoro. Ne riportiamo alcuni stralci significativi: "(…) Non esito ad affermarlo, una personalità fino ad oggi ingiustamente trascurata come quella del Ramazzani rientra a pieno titolo nella Storia dell’Arte italiana. Mentre celebriamo l’ illustre artista del passato ci accingiamo ad inaugurare una mostra di un c"oncittadino illustre che ha voluto legare al proprio nome la sua terra natale. Fu l’arte del Ramazzani un’arte dotta che elaborò lungamente complesse tradizioni iconografiche inserendosi in quel grande alveo dell’arte contro riformata, ricca di straordinari esiti in ogni parte d’ Italia. Bruno d’Arcevia, invece, è un revocatore del mito antico classico e pagano. Il mondo che ci presenta è, per così dire,un mondo al di fuori del tempo in cui contemplare un patrimonio di nozioni e di esperienze che appartengono un po’ a tutta l’Umanità (…)". Prende quindi la parola la dott.ssa Matteucci, che inquadra la figura del Ramazzani nel contesto della contemporanea arte delle Marche riconoscendogli un meritorio e personale eclettismo che attinge ai filoni pittorici tosco-romano-veneti. Prende quindi in esame con valutazioni critiche e confronti stilistici le più importanti opere del Ramazzani , sparse in tutta la regione. “ (…) il fondere in modo originale stili diversi fa parte della cultura del Ramazzani, eclettica, singolare, profonda. Fino ad oggi trascurato, Ramazzani merita invece una giusta rivalutazione, che si è tentata, dimostrandone il valore culturale all’interno del manierismo nelle Marche”. Il dott. Santini, nel suo intervento, puntualizza come “ l’ambiente arceviese, pur provinciale e circoscritto ma assai ricco di fermenti abbia consentito al Ramazzani di recepire i primi stimoli culturali ed artistici che formarono i sedimenti della sua eclettica e complessa personalità. L’incontro con il Lotto, i suoi viaggi a Roma e forse a Firenze, i frequenti spostamenti nelle Marche per eseguire le opere commissionate, gli consentirono di arricchire il suo mondo pittorico non solo attraverso la conoscenza dei grandi artisti del passato, ma soprattutto delle contemporanee correnti pittoriche. Egli seppe pervenire ad un linguaggio personale e compiuto recependo sì le istanze innovatrici, ma tenendo ben salde le radici della più rigida tradizione cattolica”. Il convegno è stata occasione favorevole per recuperare da ingiusta dimenticanza critica la figura del Ramazzani, pittore non secondario nel panorama artistico controriformato marchigiano. Tra i diversi temi affrontati due in particolare sono risultati di particolare interesse per averne consentito una molto attendibile loro definizione: il luogo e la data di nascita del Ramazzani. Al riguardo il dott. Santini ha sostenuto, contrariamente a quanto ritenuto sinora, che “all ‘artista anche nei più antichi documenti che lo riguardano, viene sempre riferita la provenienza da Roccacontrada (Arcevia) e non dal suo contado. Distinzione questa che veniva puntigliosamente precisata in ogni atto pubblico o privato che fosse”. Circa la data di nascita, ancora il dott. Santini, con argomentazioni di carattere storico e giuridico, e prendendo in esame il diario del Lotto che in modo puntuale riportava i vari passaggi relativi all’apprendistato del Ramazzani, sottolinea come nel dicembre 1550 il Lotto faccia l’accordo per un anno con l’orefice Francesco in nome e per conto del padre di Ercole, mentre nel successivo nuovo accordo che doveva valere per tre anni il consenso richiesto riguarda sia Ercole che suo padre. Rifacendosi all’ordinamento allora vigente di derivazione romano giustinianea, per cui il minore di 14 anni poteva compiere atti giuridici solo avvalendosi di un tutore (il padre se lo aveva) e che al compimento di quell’età il suo consenso doveva essere integrato da quello paterno, il Santini applicando tale normativa al richiamato accordo con il Lotto ritiene che il Ramazzani nel 1551 abbia compiuto 14 anni e quindi che sia nato nel 1537. Gli atti del Convegno sono stati pubblicati nel primo numero di “Studi Arceviesi”, alle pp. 5- 68, pubblicato nel 1994 in occasione della fondazione del Centro Studi Arceviesi di cui venne eletto presidente il dott. Paolo Santini e vice presidenti padre Stefano Troiani ed il m° Bruno d’Arcevia.

mercoledì 2 febbraio 2022

ANGELO ROCCA: mecenatismo artistico ed amore patrio










Vescovo e sacrista pontificio, teologo, letterato, linguista e bibliofilo, Angelo Rocca, il fondatore dell’Angelica, la prima biblioteca aperta al pubblico in Europa (1604), nacque in Roccacontrada, oggi Arcevia, nella Marca Anconetana.                                  

A 400 anni dalla morte gli rendiamo pubblico onore qui, nella sua patria, nello storico teatro comunale, Misa, con un convegno di studi che intende illustrarne la figura di religioso, studioso, bibliofilo e mecenate di artisti oltre che devoto figlio della sua tanto amata Arcevia. 

Angelo Rocca nacque nel 1545, nel contado di Roccacontrada, e molto probabilmente in quella parte del territorio soggetta alla diocesi di Camerino (che con  quelle di Nocera, Senigallia e Fossombrone avevano giurisdizione sul comune). Ciò spiegherebbe perché il Rocca entrò, pur giovanissimo, all’età di sette anni nel convento agostiniano di quella città, quando anche Roccacontrada aveva un importante monastero dello stesso ordine.

Un documento da me rintracciato e pubblicato,  menziona la casa che Tano (Gaetano) fratello di mons. Angelo Rocca lasciò in eredità agli agostiniani arceviesi e da questi venduta prima del marzo 1636, per 100 fiorini, ad una certa  Dorotea di Sesta.

            Il documento fugherebbe comunque ogni  ipotesi che il Rocca fosse  un trovatello senza famiglia. E che avesse una filiazione legittima ce lo conferma espressamente, poi, la bolla di Paolo V del 5 giugno 1605 con cui venivano concesse al vescovo Rocca le rendite dell’abbazia di S. Maria della Piana.

Il Rocca entrò dunque nel convento di S. Agostino di Camerino nel 1552 ed emessa la professione religiosa, per gli ottimi risultati da lui conseguiti in teologia, filosofia grammatica e logica, come egli stesso ricorda, proseguì gli studi a Perugia, Roma, Venezia. Nell’ateneo di Padova  si laureò, nel settembre 1577, in teologia “summa cum laude summo onore”, rimanendovi  del tempo come docente.

            Trasferitosi  a Venezia, nel convento di S. Silvestro, divenne amico di Aldo Manuzio il giovane, erudito umanista e stampatore, di cui curò alcune edizioni, accrescendo le sue conoscenze filologiche, letterarie e  linguistiche. Nel 1576  aveva già pubblicato, con il Manuzio, “Le osservazioni sulla bellezza della Lingua latina”, che gli procurò fama tra gli studiosi ed eruditi del tempo.

Tra il 1581 ed il 1582 fu chiamato a Roma da Agostino Molari da  Fivizzano (†1595) allora vicario generale ad interim degli agostiniani e sacrista del Palazzo Apostolico, confessore di Gregorio XIII, come suo segretario divenendo successivamente segretario generale dell’ordine.

           

            Il marchigiano Sisto V, Felice Peretti, salito al soglio pontificio nel 1585 lo chiamò al suo fianco quale collaboratore fidato e consigliere. Il Rocca, teologo e fine linguista, colto traduttore dal latino, ebraico, arabo e caldaico, organizzatore capace, nonché famoso emendatore di testi fu dal Papa nominato Sovrintendente alla Tipografia vaticana, segretario della Congregazione dell’Indice, segretario e consultore della Congregazione per l’edizione della Bibbia, la Vulgata sistina, pubblicata nel 1590 e riedita emendata nel 1592, di cui  coordinò la pubblicazione .

Il Rocca, stretto collaboratore di Sisto V, svolse, per i diversi cantieri papali, il delicato compito di controllare la conformità, ivi compresa quella storico religiosa e dottrinale, delle rappresentazioni pittoriche di arte sacra alle indicazioni conciliari, avendo anche l’opportunità di partecipare alla loro elaborazione ideografica

 

Tra i cantieri sistini più importanti ricordiamo: la nuova Biblioteca Vaticana e la Scala Santa realizzate negli anni 1587-1589 ed il Palazzo Lateranense (dal giugno 1585 al maggio 1589), tutti su progetto e direzione dell’arch. Domenico Fontana, mentre  le  decorazioni  furono dirette dai pittori  Giovanni Guerra di Modena e Cesare Nebbia di Orvieto.

 

Il Rocca rimase molto legato alla propria terra natia, dove ritornava spesso soggiornando nella  casa  paterna  e  mantenendo rapporti stretti, specie  dopo la  nomina  a segretario  generale   dell’ordine, con gli agostiniani del locale monastero.

 

A Roma il Rocca prese sotto la propria protezione i fratelli Conti, pittori, compaesani, inserendoli nel novero degli artisti sistini, garantendo loro la presenza nelle diverse fabbriche papali, ma anche favorendone l’impiego in prestigiose committenze nobiliari e prelatizie.

 (…)

Nel 1614, il 23 ottobre, il Rocca firmò  l’ atto ufficiale di donazione, redatto dal notaio Celso Cusano,  della sua biblioteca oramai nota come Angelica al convento di S. Agostino di Roma. Già nel 1595 Clemente VIII lo aveva autorizzato con Breve a donare la biblioteca ad un convento agostiniano e nel 1609 Paolo V con altro Breve  ne confermò la donazione ma con destinazione pubblica. L’Angelica era però operante da tempo come dimostrano le due lapidi, tuttora esistenti, poste accanto all’accesso: l’una datata 1604, poi corretta in 1605,  dichiara la sua libera e pubblica fruizione, mentre l’altra  menziona la scomunica papale per chi sottrae libri dalla biblioteca. Ed ancora a conferma della sua operatività anteriore alla donazione è il volumetto del 1608 “Bibliotheca Angelica Litteratorum … dicata”, che elenca i volumi posseduti e consultabili.  

Angelo Rocca morì a Roma il 7 aprile 1620, nei palazzi vaticani dove abitava, all’età di 75 anni.

Il suo corpo riposa nella chiesa di S. Agostino, accanto alla Biblioteca che da lui prese il nome. Un monumento funebre, fatto collocare dai suoi confratelli  nella  navata destra, con ritratto ed epitaffio  lo ricorda come vescovo di Tagaste, Sacrista apostolico e fondatore dell’insigne Biblioteca Angelica,  uomo eruditissimo e donatore  “liberalissimo”, benemerito della religione agostiniana. I padri del convento di S. Agostino e  i confratelli di Roma  posero questa lapide per gratitudine e benevolenza.

 

ESTRATTO DALL’INTERVENTO AL CONVEGNO DEL  3  OTTOBRE 2020 RIELABORATO   NEGLI ATTI IN CORSO DI PUBBLICAZIONE NEI “QUADERNI” DELLA REGIONE MARCHE.  SONO STATI OMESSI I RAPPORTI DEL ROCCA CON ARCEVIA E GLI ARTISTI G. CIBO,  E. RAMAZZANI, C. CONTI. OLTRE LE NOTE AL TESTO.

















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