Arcevia, vista da monte S. Angelo
AD
ARCEVIA (AN), DOMENICA 5 MAGGIO 2013, L'ON LAURA BOLDRINI, PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI, COMMEMORA IL 69° ANNIVERSARIO DELL’ECCIDIO NAZI
FASCISTA DI MONTE SANT’ANGELO (4 MAGGIO 1943) DOVE
FURONO BARBARAMENTE UCCISI “70 TRA PARTIGIANI E CIVILI”.
L’AREA DI MONTE SANT’ANGELO E’DIVENUTA LUOGO
SIMBOLO DELLA RESISTENZA DELLE MARCHE.
QUANDO
LA CRISI SOCIALE PRODUCE DISOCCUPAZIONE
E QUEST’ULTIMA DIVENTA
DISPERAZIONE SI CREANO LE CONDIZIONI PER IL SOSTEGNO POPOLARE AD AVVENTURE AUTORITARIE
DI VARIO SEGNO.
IL
NEMICO PRINCIPALE DELLA LIBERTA’ E’ LA MANCANZA DI LAVORO.
DISCORSO MEMORABILE DELLA BOLDRINI EQUILIBRATO, PACIFICATORE E DI CONDANNA DI OGNI RETICENZA SULLE STRAGI COMPIUTE IN ITALIA: PERCHE’ LA VERITA’ E’ ESSENZIALE ALLA DEMOCRAZIA.
HA MENZIONATO PER ARCEVIA , SIA PURE CON UN ACCENNO BREVE, ANCHE “ALTRI EPISODI
TRAGICI COME QUELLI CHE SI CONSUMARONO NEL LUGLIO DEL 1944, TRAGICI DELLA
BARBARIE CHE LA GUERRA PROVOCA” .
IL RIFERIMENTO E’ALLE 13 PERSONE, UOMINI E
DONNE CIVILI, UCCISE IL 14 LUGLIO 1944 DAI PARTIGIANI, PER RAPPRESAGLIA, ALLA MADONNA
DEI MONTI DI ARCEVIA.
QUESTO DELLA MADONNA DEI MONTI E QUELLO DEL SANT’ANGELO SONO CRUDELI ATTI DI BARBARIE CHE AVENDO SOLO
VINTI VANNO RELEGATI IN UN ANGOLO DELLA MEMORIA
COME MONITO PER IL FUTURO, CONTRO ALTRE GUERRE FRATRICIDE, CONTRO OGNI
GUERRA.
L'on. Boldrini in visita ad Arcevia
panorama dal monte S. Angelo
NOTIZIE SU MONTE S. ANGELO E SULLA CHIESA , DI RECENTE RESTAURATA, UNICO RESTO DELL'ANTICA ABBAZIA
Il
monte S. Angelo si eleva a 710 m. sul livello del mare fronteggiando Arcevia a
Sud Est.
Il più
antico documento noto che lo menzioni è un atto di donazione del 1024 fatto da
un certo Ottaviano di Giuseppe di legge longobarda, all’abbazia di Farfa. La
donazione riguardava alcune terre poste nel ducato di Spoleto in territorio
nocerino ed avevano per confine tra l’altro il monte chiamato S. Angelo ad
Camillianum.
Il
monte Camillianus è stato nei secoli scorsi oggetto di particolare
interesse per l’ipotesi avanzata da alcuni storici locali circa l’esistenza nei
suoi pressi del presunto abitato romano di Nuceria Camelliana diversa
dalla Nocera Umbra detta favoniense. Il primo a parlarne fu Ludovico
Jacobilli
prendendo spunto da un passo di Plinio seniore
sugli abitanti di Nocera che venivano detti “favonienses et cameliani”.
Questa tesi dello Jacobilli fu ripresa nel secolo seguente dall’Abbondanzieri
che coinvolgendo anche il Lancellotti cercò di accreditare con prove
documentarie l’esistenza di Nuceria Camelliana. Le iscrizioni lapidarie
proposte dall’Abbondanzieri furono però ritenute già dal Bormann delle
falsificazioni. Più recentemente dal Villani l’esistenza di questa Nocera viene
giudicata un’ipotesi priva di fondamento.
Il
richiamato documento del 1024 attesta dunque l’esistenza sul monte di un luogo
di culto fondato prima del Mille e dedicato a S. Michele Arcangelo, protettore
delle comunità longobarde. Non sappiamo quando fu fondato il cenobio
benedettino, ma già nel 1153 papa Anastasio IV confermava il monastaro di S.
Angelo de Monte con chiese e pertinenze all’abbazia di S. Lorenzo in
Campo, a cui risultava soggetto .
La chiesa con la croce di monte S. Angelo
Il
monastero era retto da un priore con 12 monaci e conversi, come viene ancora ricordato
in un documento del 3 giugno 1173.
Il monastero divenuto successivamente abbazia, passò ai camaldolesi che lo tennero sino agli inizi del Quattrocento quando, abbandonato dai monaci, fu affidato con la chiesa e tutti i suoi beni ad abati commendatari, l’ultimo dei quali fu l’arceviese Francesco Tarughi.
Il monastero divenuto successivamente abbazia, passò ai camaldolesi che lo tennero sino agli inizi del Quattrocento quando, abbandonato dai monaci, fu affidato con la chiesa e tutti i suoi beni ad abati commendatari, l’ultimo dei quali fu l’arceviese Francesco Tarughi.
Dopo il
1500 presso il monastero, abbandonato da
tempo e diruto, si rifugiò qualche eremita e alla chiesa di S. Angelo venne
aggiunto il nome Romitella, in vari documenti fino al 1564. Nel
Settecento del monastero già non c’era più traccia.
Durante
il dominio napoleonico i beni dell’abbazia furono incamerati ed in parte
venduti e la stessa chiesa di S. Angelo abbandonata. Nel 1904 per iniziativa di
un comitato di arceviesi tra cui Anselmo Anselmi, mons. Luigi Bonetti vescovo di Montalto e don Luigi
Biaschelli, fu innalzata sulla cima del monte
la grande croce di ferro, tuttora esistente, e si procedette al restauro
della chiesa. Nel 2007 la chiesa, ridotta in pessime condizioni, fu nuovamente restaurata. Nel 2011 è stato eretto, nei suoi pressi, un monumento ai caduti della polizia di stato, opera di Bruno d'Arcevia.
monumento ai caduti delle forze di polizia (Bruno d'Arcevia)
Tra le antiche costumanze arceviesi ricordate
dal Crocioni c’è quella che in
occasione della festa dell’Ascensione quando numerosi salgono in cima al monte
gli abitanti dei paesi vicini per svago e divertimento, i giovani, specie gli
innamorati, vanno ripetendo in tono semischerzoso due distici tradizionali:
(i
giovani) “Sant’Angelo da le lale longhe, (ali lunghe)
no mme ce fa nì più senza la
mòje”;
(le
giovani) “Sant’Angelo mia romito,
no mme ce fa nì più senza
marito”.
Questi
distici richiamano antiche usanze, forse antiche preghiere.
Una
leggenda vuole ancora che dal monte entro un enorme masso rotolato a valle, nel
luogo chiamato il Sasso del Diavolo, tessa in eterno, sul suo telaio d’oro, una giovane
che il diavolo avrebbe rapita proprio nel giorno dell’Ascensione quando la
gente qui faceva festa. E dalla macchia grande di Pascelupo, tra sassi e spine,
si può cogliere, durante il giorno, il lavorio del telaio e di notte il lamento
della giovane.
Sul
monte S. Angelo doveva esistere attorno al 1246 un castello di cui si ignora la
precisa ubicazione e le sue vicende storiche. In quell’anno un suo castellano è
testimone nella causa tra d. Federico di Cavalalbo ed il comune di R.C..
Questo castello è forse identificabile con quel Castel del Monte ricordato
dall’Anselmi e dal Villani, sito nei pressi di un sentiero che dal monte Faeto
conduce al S. Angelo ed il cui toponimo è riportato nel catasto del 1818.
Estratto da "Arcevia. Nuovo Itinerario nella Storia e nell'Arte" di Paolo Santini (2005)
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